Sulle tracce delle Streghe di Zugarramurdi
- Vivian Redleaf
- 22 mag 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 19 dic 2024
***
Nel film di Alex de la Iglesia Las brujas de Zugarramurdi (Le Streghe son tornate), un gruppo di improvvisati rapinatori fugge con un bottino di gioelli e si ritrova a Zugarramurdi, un piccolo paese della Navarra.
Qui vengono rapiti da un gruppo di donne inquietanti, portati in una villa dove si tiene un macabro banchetto, infine in una grotta dove sta per celebrarsi il rituale per risvegliare un'antica Dea Madre.
Come scopriranno a loro spese gli sfortunati rapinatori, le donne appartengono a una congrega di streghe con una feroce avversione per il genere maschile e una spiccata passione per la carne umana.
Se il film, gioiello della produzione surreale di de la Igesia, è un'opera di fantasia, i luoghi e i fatti a cui si ispira hanno più di un fondamento nella realtà.
400 anni prima
7 e 8 Novembre 1610. Nella piazza di Logroño, Paesi Baschi, cinque donne e un uomo di età compresa fra i 50 e i 70 anni sono messi al rogo con l'accusa di stregoneria. A condurre gli interrogatori ed emettere le sentenze i giudici Alonso Becerra Holguín, Juan Valle Alvarado e Alonso de Salazar y Frías.
Tutto ha inizio due anni prima, quando la giovane Maria de Ximildegui torna a Zugarramurdi dopo un periodo passato in Francia. Ai monaci dell'abbazia di Urdax, sotto la cui giurisdizione ricade anche Zugarramurdi, racconta candidamente di essersi lasciata convincere, durante il suo soggiorno francese, da una coetanea a unirsi a un gruppo di maghi e fattucchiere che praticava sabba e magia nera.
Ma, precisa Maria ai monaci preoccupati, più partecipava ai riti oscuri della setta più si rendeva conto che ciò che stava facendo era sbagliato; aveva quindi ripreso a pregare la Vergine Maria e ad andare a messa di nascosto.
Il terrore di finire nelle mani del fanatico inquisitore Pierre de Rosteguy signore di Lancre, che stava conducendo una feroce persecuzione nei Paesi Baschi francesi, l'aveva infine spinta a confessarsi con un sacerdote del posto, che l'aveva aiutata e consolata e, una volta ricevuta dispensa dal vescovo di Bayona, assolta. Per evitare qualsiasi ritorsione da parte di streghe e stregoni che aveva denunciato, aveva poi deciso di tornarsene a Zugarramurdi.
Per mettersi la coscienza a posto, Maria non solo racconta ai monaci di Urdax le proprie vicissitudini, ma riferisce che anche a Zugarramurdi ci sono delle streghe, e fa il nome di María de Yureteguía, una vecchia compagnia di scuola. Questa dapprima nega, poi, pressata dalle domande del marito e dei parenti, e messa a confronto con la de Ximildegui, confessa di essere stata introdotta alla stregoneria fin da piccola e di aver partecipato a numerosi sabba. E comincia anche lei a far nomi di presunte streghe e stregoni del villaggio.
La cosa sorprendente è che le persone accusate ammettono subito le loro colpe e quelle non accusate si denunciano spontaneamente, e tutte cominciano a raccontare storie molto simili di unguenti a base di veleno di rospo, voli notturni, messe nere, orge a cui partecipa anche il demonio, omicidi di infanti, filtri magici e tutta la serie di attività che non possono mancare in una congrega degna di questo nome.
Ma perché questo zelo nel confessare e addirittura autodenunciarsi?
Provate a immaginare un paesino di meno di cinquecento anime, affossato in una valle nebbiosa e circondato da boschi ancestrali, dove misticismo, paganesimo, leggende e superstizione si intrecciano con il fervore cattolico.
La mortalità infantile, già alta, è in aumento e in molti cominciano a parlare di misteriose creature che succhiano il sangue.
La salute di bestie e cristiani è affidata a donne che curano con le erbe si occupano anche di far nascere i bambini, e che magari dopo il lavoro vanno insieme nei boschi a cercar piante da cui ricavare i medicamenti.
Forse alcune di loro usavano trovarsi nelle grotte dove si credeva si manifestasse la dea Mari, profetessa e signora dei fenomeni naturali, per evocarla o renderle omaggio.
Le notizie sui feroci metodi inquisitori di Pierre de Lancre appena al di là del confine e un genuino terrore della stregoneria, istillato dagli apocalittici sermoni domenicali, generano il panico: gli abitanti di Zugarramurdi si guardano con sospetto, puntano il dito l'uno verso l'altro, si armano di forconi, cominciano ad andare a caccia di chi si comporta in modo strano, a parlare di farsi giustizia da sé. E le persone additate, o che temono di finire sospettate, preferiscono autodenunciarsi e chiedere perdono piuttosto che rischiare di essere linciate.
I monaci dell'abbazia di Urdax, rendendosi conto che la situazione rischia di sfuggire di mano, chiedono urgentemente l'intervento dell'Inquisizione.
Bisogna tener presente che, a differenza del resto d'Europa, il Consiglio dell'Inquisizione Generale e Suprema spagnolo, chiamato "Suprema" dal 1482 agiva in modo autonomo rispetto alla Chiesa di Roma e rispondeva esclusivamente all'autorità del sovrano, il cui interesse repressivo era molto di natura politica e meno di natura religiosa, e riguardava principalmente gli eretici, in particolare musulmani ed ebrei la cui presenza in terra spagnola stava diventando massiccia e i cui beni confiscati finivano, neanche a dirlo, nelle tasche del sovrano.
Certo, anche la stregoneria doveva essere perseguita e la fede cattolica ripristinata, ma gli abitanti di Zugarramurdi sanno che con una confessione spontanea e senza reiterazione del peccato hanno possibilità di salvarsi.
Tutte queste motivazioni, insieme a una buona dose di paranoia e ignoranza, fanno sì che, nel 1610, 282 dei 390 abitanti di Zugarramurdi finiscono sotto processo per stregoneria, ma di questi la maggior parte, facendo atto di contrizione, viene assolta o soggetta a pene quali pellegrinaggi, penitenze, pene pecuniare, frustate o esilio.
Solo chi non dà segno di pentimento, rifiuta le accuse o è imputata di proselitismo finisce vittima dell'autodafè: in totale undici persone, di cui sei vengono bruciate vive e altre cinque, morte nel frattempo in carcere, vengono bruciate "in effige", cioè al loro posto ci sono delle statue che le rappresentano.
Il numero relativamente basso di condanne si deve a uno dei tre inquisitori, il magistrato Alonso de Salazar y Frías, uomo pratico e animato da un certo scetticismo. A differenza dei suoi due compari Becerra e Valle, a lui tutte quelle confessioni spontanee che riportano racconti, molto simili fra loro, di pratiche stregonesche non convincono affatto, e riesce a dimostrare che sono quasi tutte frutto di fantasia o di sogni nati dalla suggestione.
Nel 1611 Salazar viene nuovamente interpellato per un altro processo, ancora più terribile del precedente perché le inquisite questa volta sono 1384 bambine e giovani ragazze, accusate di aver trascinato al sabba altre loro coetanee. Accusa gravissima, per i tempi, quella di proselitismo.
Memore dell'esperienza di Zugarramurdi, Salazar decide quindi di intraprendere una strada mai seguita prima: utilizzare il metodo scientifico. Con il supporto dell'umanista Pedro de Valencia, di medici e farmacisti riesce a dimostrare che i presunti unguenti del sabba sono solo impiastri a base di piante allucinogene come la mandragora, la belladonna e la cicuta.
Durante gli interrogatori, invece di spingere le presunte streghe verso una confessione estorta con l'inganno, mette in atto il processo inverso e riesce a farle cadere in contraddizione.
Infine, grazie alle autopsie di medici esperti sui corpi di presunte vittime di malefici, viene messo in chiaro che le cause della morte erano del tutto naturali o accidentali.
La conclusione che ne trae e che comunica alla Suprema è che le convinzioni espresse dalle presunte streghe di aver preso parte al sabba ed essersi accoppiate con il demonio sono frutto di una sorte di delirio collettivo provocato dall'autosuggestione, dai racconti del folklore, dall'incapacità di distinguere i sogni dalla realtà, dalla paranoia e dalla paura.
Questo procedimento innovativo e guidato da prammatico scetticismo fa sì che tutte le imputate i questo secondo processo vengano prosciolte. Salazar y Frías si guadagna il soprannome di l'avvocato delle streghe.
È bene però chiarire un punto: per quanto il suo metodo abbia salvato numerose vite, Salazar non è stato un sovversivo che si metteva dalla parte delle vittime, né uno scettico convinto che il fenomeno della stregoneria fosse una montatura. Lui credeva nella stregoneria, credeva nel principio nel patto con il demonio: semplicemente volle dimostrare che non era così esteso come si pensava. Atteggiamento condiviso dalla Suprema, motivo per cui, soprattutto rispetto ai paesi protestanti del Nord Europa, in Spagna la tortura venne utilizzata raramente e limitata agli eretici e le esecuzioni per accusa di stregoneria furono relativamente contenute.
***
Комментарии