top of page

Lamia, la Donna Serpente

  • Immagine del redattore: Vivian Redleaf
    Vivian Redleaf
  • 18 mag 2024
  • Tempo di lettura: 3 min
Immagine del dipinto Lamia, la Donna Serpente di Anna Lea Merritt
Lamia, la Donna Serpente - Anna Lea Merritt

Quel che si inventa per dilettare, sia almeno verisimile: la trama non pretenda che si presti fede a qualsiasi cosa, e non tiri fuori il bambino vivo dalla pancia della Lamia che se l’è mangiato

[Orazio, Ars Poetica]


Lamia è una creatura mitologica dell'antica Grecia, le cui caratteristiche la collegano alle divinità lunari mediorientali, quali Lilith, Neith, Inanna e Atargatis, destinate nel tempo a perdere il loro status divino e positivo e diventare simbolo della femminilità malvagia.

Viene descritta come una bellissima regina libica, vittima di una vendetta talmente crudele da spingerla alla follia, che la trasforma nell'aspetto e nell'anima. Diventa mostro che rapisce e divora gli infanti e può mutare sembianza per sedurre gli uomini e succhiarne il sangue.

Dipinto di Lamia di John William Waterhouse
Lamia, John William Waterhouse (1909)

Ma cosa, o chi, può averla portata verso una così tragica trasfigurazione?


Secondo il mito, Lamia era la giovane e bellissima figlia di Belo, re della Libia.

Di lei si innamora perdutamente Zeus, che decide di sedurla, e dalla loro unione nascono molti figli.

Quando Era, moglie di Zeus, lo scopre, furiosa per la gelosia si vendica uccidendoli tutti.

Privata dei suoi figli, disperata e resa folle dal dolore lacerante, Lamia si nasconde in una grotta e, incapace di tollerare la felicità delle altre madri, ne rapisce i neonati e li divora.

Per Aristofane, il nome stesso Lamia si collega alla parola greca laimòs, gola, e all’aggettivo lamyros, vorace.


La rabbia crescente e il dolore che lo alimenta tolgono a Lamia ogni vestigia della sua antica bellezza, trasformandola in una creatura mostruosa e crudele.

Mosaico di Lamia, Basilica di San Giovanni Evangelista, Ravenna
Mosaico di Lamia, Basilica di San Giovanni Evangelista, Ravenna

Non contenta, Era decide di privarla anche del sonno, così da non permetterle mai di avere pace.

Finalmente impietosito, Zeus le fa due doni: la possibilità di togliersi gli occhi, in modo da poter riposare e la facoltà di trasformarsi ogni volta che lo vuole per tornare all’antica bellezza, sedurre i giovani uomini e nutrirsi del loro sangue.


Questa è la base del mito.


Nel tempo, la figura di Lamia ha subito varie contaminazioni, soprattutto attraverso il folklore, che ne hanno esaltato l'aspetto mostruoso e spietato, fino a cancellare completamente quello umano di madre disperata.


Diventa quindi la vorace divoratrice di infanti, l'insaziabile seduttrice, metà donna metà serpente, che succhia il sangue agli uomini, l'orribile creatura della grotta a cui pagare tributi umani, il mostro marino con la coda di pesce che uccide i giovani marinai, l'orchessa delle favole e perfino una moltitudine di creature demoniache chiamate lamie.


Fu donna di eccezionale bellezza: ma poiché aveva indole selvaggia, dicono, il suo volto col tempo prese un aspetto ferino. La morte coglieva tutti i figli che le nascevano: perciò, mal tollerando la sua sciagura, invidiosa per la felicità delle altre madri, ordinava che i neonati fossero strappati dalle loro braccia e immediatamente trucidati.

È per questo che anche presso di noi e fino ai viventi di oggi la notizia di questa donna sopravvive tra i bambini, e il suo nome li spaventa più di ogni altro.

[Diodoro Siculo, Biblioteca Storica]


Nel Bestiario Moralizzato di Gubbio (autori anonimi, XIII secolo), la parola lamia assume un significato metaforico: è una figura fantastica che avvelena i figli con il proprio latte, a rappresentare degli inganni mondani dai cui non c'è scampo.

Lamia, Bestiario Moralizzato di Gubbio (XIII sec) Autore Ignoto
Lamia, Bestiario Moralizzato di Gubbio (XIII sec) Autore Ignoto

Durante il Rinascimento e l'Umanesimo, con la riscoperta dei classici greci e latini, demonologi e inquisitori nei processi per stregoneria fanno riferimento alle azioni delle lamie – infanticidio, vampirismo, trasmutazione animale, sessualità sfrenata – per costruire capi di accusa nei confronti delle donne interrogate, e la parola stessa lamia diventa sinonimo di Strega.


Bisogna attendere fino al Romanticismo quando, grazie alla penna di John Keats, Lamia riconquista lo status di eroina tragica, intrappolata in un corpo di mostro ma ancora lacerata da un amore perduto.


Il pittore John William Waterhouse fu così intrigato dalla figura di Lamia che le dedicò ben due dipinti, dove esalta il lato della femme fatale, tema caro all'epoca Vittoriana, della seduttrice che contempla la propria bellezza riflessa in una fonte (dipinto del 1909) e che si appresta a sedurre un giovane auriga, ignaro della sua era esenza (dipinto del 1905). Unico indizio della natura mostrusosa, la serpentina pelle scintillante che l'avvolge.

Dipinto di Lamia di John William Waterhouse, ispirato all'omonimo poema di John Keats
Lamia, John William Waterhouse (1905), ispirato all'omonimo poema di John Keats

Era una forma gordiana di abbagliante tinta, a macchie vermiglie, d'oro, verdi ed azzurre;  rigata come una zebra, maculata a mo' di leopardo, occhiuta come un pavone, e tutta di cremisi listata; era cosparsa d'argentee lune, sì che, quand'essa respirava, si dissolveano, o splendeano più lucenti, o intrecciavano le loro luci con altri più cupi ricami.

Così coi lati iridescenti, afflitta da tante miserie, pareva, insieme, una donna degli elfi in espiazione,  la bella di un demone, o un demone stesso.

[John Keats. Lamia]



Comments


bottom of page